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tare. E Noffo Guidi parlò, e disse: «Io dirò cosa, che tu
mi terrai crudele cittadino». E io li dissi che tacesse; e
pur parlò, e fu di tanta arroganza, che mi domandò, che
mi piacesse far loro parte, nell’ufficio, maggiore che l’al-
tra: che tanto fu a dire, quanto «disfa’ l’altra parte», e me
porre nel luogo di Giuda. E io li risposi che innanzi io fa-
cessi tanto tradimento, dare’ i miei figliuoli a mangiare a’
cani. E così da collegio ci partimo.
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Insidie di Carlo contro i Priori: parlamento in Santa Maria No-
vella (5 novembre). Consigli che vengon dati alla Signoria, e
suoi provvedimenti (...primi di novembre 1301).
Messer Carlo di Valos ci facea spesso invitare a man-
giare. Rispondavàlli, che per nostro saramento la legge
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ci costrignea che fare non lo potavamo (e ciò era vero),
perché fra noi stimavamo che contro a nostra volontà ci
arebbe ritenuti. Ma pure un giorno ci trasse di palazzo,
dicendo che a Santa Maria Novella fuori della terra vo-
lea parlamentare per bene de’ cittadini; e che piacesse
alla Signoria esservi. Ma perché troppo sospetto mostra-
va il negarlo, diliberamo che tre di noi v’andassimo, e gli
altri rimanesson in palazo.
Messer Carlo fe’ armare la sua gente, e posela alla
guardia della città alle porti dentro e di fuori: però che i
falsi consiglieri gli dissono che dentro non potrebbe tor-
nare, e che la porta li sarebbe serrata. E sotto questo
protesto aveano pensato malvagiamente che se la Signo-
ria vi fusse ita tutta, d’ucciderci fuori della porta, e cor-
rere la terra per loro. E ciò non venne loro fatto, per-
chéè non ve ne andorono più che tre; a’ quali niente
disse, come colui che non volea parlare, ma sì uccidere.
Molti cittadini si dolsono di noi per quella andata, pa-
rendo loro che andassono al martirio. E quando furono
tornati, lodavano Iddio che da morte gli avea scanpati.
I signori erano stimolati da ogni parte. I buoni dicea-
no, che guardassono ben loro e la loro città: i rei li con-
tendeano con questioni; e tralle domande e le risposte il
dì se ne andava: i baroni di messer Carlo gli occupavano
con lunghe parole. E così viveano con affanno.
Venne a noi un santo uomo, un giorno, celatamente e
chiuso, pregocci che di suo nome non parlassimo, e dis-
se: «Signori, voi venite in gran tribulazione, e la vostra
città. Mandate a dire al vescovo facci fare processione, e
imponeteli che la non vada oltrarno: e del pericolo ces-
serà gran parte». Costui fu uomo di santa vita e di gran-
de astinenzia e di gran fama, per nome chiamato frate
Benedetto. Seguitammo il suo consiglio; e molti ci
schernirono, dicendo che meglio era arrotare i ferri. Fa-
cemmo, pe’ consigli, leggi aspre e forti, e demo balìa a’
rettori contro a chi facesse rissa o tumulto, e pene perso-
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nali imponemo, e che mettessero il ceppo e la mannaia
in piaza, per punire i malifattori e chi contrafacesse.
A messer Schiatta Cancellieri capitano di guerra cre-
scemo balìa, e confortamo di ben fare; come che niente
valse, però che i messi, famigli e berrovieri lo tradirono.
E trovossi che XX berrovieri de’ loro doveano avere fio-
rini M e ucciderli, li quali misono fuori del palazzo.
Molto si studiavano difendere la città dalla malizia de’
loro adversari; ma niente giovò, perché usoron modi pa-
cifici, e voleano esser repenti e forti. Niente vale l’umiltà
contro alla grande malizia.
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Minacce e apparecchio de’ Neri; impaccio e dappocaggine de’
Bianchi (primi di novembre 1301).
I cittadini di Parte nera parlavano sopra mano, dicen-
do: «Noi abiamo il signore in casa; il Papa è nostro pro-
tettore; gli adversari nostri non sono guerniti né da guer-
ra né da pace; danari non ànno; i soldati non sono
pagati». Eglino aveano messo in ordine tutto ciò che a
guerra bisognava, per accogliere tutte le loro amistà nel
sesto d’Oltrarno; nel quale ordinorono tenere Sanesi,
Perugini, Lucchesi, Saminiatesi, Volterrani, Sangimi-
gnanesi. Tutti i vicini avean corrotti: e avean pensato te-
nere il ponte a Santa Trinita, e dirizare su due palagi al-
cuno edificio da gittare pietre: e aveano inviati molti
villani dattorno, e tutti gli sbanditi di Firenze.
I Guelfi bianchi non ardivano mettersi gente in casa,
perché i priori gli minacciavano di punire e chi raunata
facesse: e così teneano in paura amici e nimici. Ma non
doveano gli amici credere che gli amici loro gli avessono
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morti, perché procurassono la salvezza di loro città,
benché il comandamento fusse. Ma non lasciarono tanto
per tema della legge, quanto per l’avarizia; perché a
messer Torrigiano de’ Cerchi fu detto: «Fornitevi, e di-
telo agli amici vostri».
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I Neri cominciano scandalo. Primo sangue, per mano de’ Me-
dici. Gli Ordinamenti di Giustizia rimangono senza effetto. La
città si arma (4 novembre 1301...).
I Neri, conoscendo i nimici loro vili e che aveano per-
duto il vigore, s’avacciorono di prendere la terra; e uno
sabato a dì [...] di novenbre s’armorono co’ loro cavalli
coverti, e cominciorono a seguire l’ordine dato. I Medici,
potenti popolani, assalirono e fedirono uno valoroso po-
polano chiamato Orlanduccio Orlandi, il dì, passato ve-
spro, e lascioronlo per morto. La gente s’armò, a piè e a
cavallo, e vennono al palagio de’ priori. E uno valente
cittadino chiamato Catellina Raffacani disse: «Signori, [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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